Parlare di disturbi alimentari non è facile. Spiegarli, poi, è quasi impossibile. Per chi li vive ogni giorno, mettere in parole ciò che accade nella mente e nel corpo è come tentare di tradurre un dolore che non ha voce. Questa è una delle ragioni per cui molte persone con anoressia, bulimia o disturbo da alimentazione incontrollata si sentono profondamente sole, incomprese, invisibili.
Disturbi alimentari: un dolore che non si vede
I disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono malattie complesse, che coinvolgono la sfera fisica, emotiva e mentale. Ma a differenza di altre patologie, non sempre si vedono. Non hanno un volto unico, né un corpo riconoscibile. Possono celarsi dietro un sorriso, una routine impeccabile, una performance brillante. Ecco perché chi ne soffre spesso si sente dire:
“Ma stai bene, cosa vuoi che sia?”
“Mangia, è solo una questione di volontà.”
“Hai tutto, di cosa ti lamenti?”
Queste frasi, seppur dette con buone intenzioni, possono ferire profondamente.
Perché è così difficile spiegare un disturbo alimentare?
Chi vive un disturbo alimentare combatte con pensieri ossessivi legati al cibo, al corpo e al controllo. Ma la difficoltà più grande è trasmettere all’esterno l’intensità di quella lotta interna. Dire “ho un disturbo alimentare” non basta. Spesso manca il linguaggio adatto. Come si spiega la paura di mangiare una fetta di pane? Come si racconta il senso di colpa dopo un pasto normale? Come si fa a dire che il proprio corpo è un campo di battaglia, ogni singolo giorno?
La verità è che non esistono parole perfette per raccontare un dolore che spesso non si vede.
La solitudine di chi non riesce a farsi capire
Molti pazienti descrivono i DCA come una “voce” nella testa, costante, giudicante, subdola. Quando cercano di condividerla, si scontrano con l’incomprensione. Questo genera un senso di isolamento profondo.
“Vorrei spiegartelo, ma non riesco” diventa allora un grido silenzioso. Il rischio? Ritirarsi ancora di più, nascondere tutto, fingere che vada bene. Ma dentro, non va bene.
Cosa possiamo fare per capire davvero
- Ascoltare senza giudicare. Le persone con un DCA hanno bisogno di essere ascoltate, non corrette.
- Non ridurre il problema al cibo o al peso. Un disturbo alimentare è molto di più.
- Evitare frasi semplicistiche. Non dire “basta volerlo” o “sei già magra”.
- Informarsi. Leggere, seguire testimonianze, consultare esperti. La consapevolezza è il primo passo.
- Offrire sostegno emotivo. Non servono soluzioni immediate, ma presenza autentica.
Spiegare un disturbo alimentare è difficile, ma comprenderlo è possibile. Chi ne soffre ha bisogno di empatia, non di soluzioni facili. Ha bisogno di spazio per raccontarsi, senza il timore di essere giudicato. Anche solo dire “non riesco a spiegartelo” può essere un passo importante verso la guarigione — se trova qualcuno disposto ad ascoltare davvero.
Il nostro impegno quotidiano
Nel nostro centro ci prendiamo cura di chi affronta un DCA attraverso percorsi personalizzati, multidisciplinari e centrati sulla persona. Ogni paziente ha una storia unica, e ogni storia merita di essere ascoltata — anche quando è difficile da raccontare.
Spesso il primo passo verso la guarigione è proprio questo: trovare qualcuno disposto ad ascoltare senza giudicare. E se le parole non arrivano subito, non importa. Noi siamo qui, pronti ad accogliere anche ciò che non si riesce ancora a dire.