Quando una persona a cui vogliamo bene soffre di un Disturbo Alimentare, riteniamo che abbia urgente bisogno di cure. Ed è così. Dopotutto, i Disturbi Alimentari costituiscono la seconda malattia mentale più letale, e quanto più precoce è il trattamento, tanto maggiori sono le possibilità di guarigione duratura. Tuttavia, per la persona che ne soffre, il trattamento potrebbe non sembrare affatto urgente. Anzi, potrebbe essere l’ultima cosa che vuole fare.
L’anosognosia nei Disturbi Alimentari: le ragioni della resistenza al trattamento
Ci sono due termini tecnici che contribuiscono a spiegare perché le persone con Disturbi Alimentari possono resistere al trattamento: anosognosia ed egosintonia. Benché difficili da pronunciare, queste due parole hanno definizioni piuttosto semplici che fanno luce su ciò che può accadere nella mente di chi soffre.
Quando, più di vent’anni fa, mi fu diagnosticata l’anoressia, i medici mi scagliarono addosso una moltitudine di parole che non capivo. Oltre ad “amenorrea” (assenza di mestruazioni) e “anedonia” (ridotta capacità di provare piacere), una delle strane parole scarabocchiate sulla mia cartella clinica era “anosognosia”. Solo alcuni anni dopo, mentre scrivevo di salute mentale per una testata nazionale, scoprii il significato del termine: la convinzione di un paziente malato di non avere alcuna patologia. “L’anosognosia è la mancanza di consapevolezza di essere malati ed è un sintomo comune nei Disturbi Alimentari”, afferma Lainy Clark, psicoterapeuta esperta in Disturbi Alimentari. “Viene chiamata anche ‘mancanza di cognizione’ e comporta l’incapacità di riconoscere che si ha bisogno di aiuto”.
Poi c’è il fatto che i Disturbi Alimentari sono egosintonici. Questo aggettivo indica qualcosa che è in linea con l’immagine di sé, i valori e le emozioni dell’individuo, il che significa che una persona può essere consapevole di avere un Disturbo Alimentare, ma non vuole liberarsene. Naturalmente, sono solo le distorsioni della mente a far sì che il soggetto si senta in sintonia con i valori della propria patologia, ma data la morsa che un Disturbo dell’Alimentazione esercita sulla mente di una persona, questa sensazione può essere molto forte.
“Senza averne l’intenzione, molti pazienti tendono automaticamente a minimizzare i sintomi e la necessità di un intervento”, afferma Jenna Robinow, terapeuta. “Ad esempio, uno degli aspetti dell’anoressia è l’ambivalenza verso il suo impatto negativo sulla salute di una persona. La malnutrizione impedisce di vedere chiaramente l’urgenza di ricevere un trattamento e di agire di conseguenza. In tal senso, può essere scorretto presumere che una persona nella fase acuta di un Disturbo Alimentare accetti le cure fin dall’inizio”.
Come può manifestarsi la resistenza al trattamento
Secondo Clark, la resistenza al trattamento può manifestarsi in molteplici modi. “Il più comune è la disregolazione emotiva, che si traduce in opposizione, esplosioni di rabbia o crisi di pianto”, afferma l’esperta. “Anche il rifiuto di partecipare alle sedute terapeutiche, l’aggressività e la maggiore ostilità verso gli altri rappresentano tipiche forme di resistenza”.
Oltre all’instabilità emotiva e all’aggressività, la dietista Tanya Hargrave-Klein spiega che molti pazienti possono chiedere di interrompere il trattamento promettendo che tenteranno di guarire da soli. Altri possono gettare il cibo, imprecare contro l’équipe di supporto o mettere in atto il trattamento del silenzio contro i propri cari. “L’individuo può non rispondere ai messaggi, ignorare le telefonate o evitare dal vivo le persone da cui riceve supporto”, afferma la professionista.
Sebbene sia difficile stabilire quanto sia frequente, Hargrave-Klein spiega che questa forma di opposizione è molto comune. “Accade spesso che una persona resista al trattamento”, dichiara. “È altrettanto tipico che qualcuno desideri il trattamento e si opponga ad esso il momento successivo”.
Come aiutare una persona con un Disturbo Alimentare che non vuole essere aiutata
Sebbene non vi sia una strategia unica e adatta a ogni famiglia, esistono alcuni metodi consolidati per orientare la persona verso la giusta direzione in modo delicato:
- Riconoscere e validare la sua resistenza. “È utile riconoscere ciò che si osserva e validare le emozioni della persona”, sostiene Hargrave-Klein. “Le si potrebbe dire qualcosa come: ‘Vedo che non vuoi iniziare la terapia. È comprensibile, perché fa paura, perché non sai cosa aspettarti e perché non è qualcosa che devono fare i tuoi amici’”.
- Avviare conversazioni aperte, sincere e costruttive. “Aiutate il vostro caro a rivedere o ridefinire le sue più grandi paure riguardo all’inizio di un percorso di terapia”, suggerisce Robinow. In effetti, elaborare e interessarsi alla sua resistenza può dissipare alcune delle sue paure, che sembrano immense nella sua mente, ma possono essere scomposte in ostacoli più gestibili e superabili ricevendo supporto.
- Lasciare libero spazio all’espressione delle sue emozioni. “Non date per scontato di sapere come si sente la persona”, afferma Robinow. “Ditele cosa notate nel suo comportamento e permettetele di condividere con voi ciò che prova. Ciò può favorire uno sforzo più collaborativo”.
- Considerare opzioni terapeutiche efficaci nonostante la riluttanza della persona. “Il sintomo dell’anosognosia rende la terapia basata sull’evidenza, come il trattamento fondato sulla famiglia (Family-Based Treatment – FBT), un’opzione accessibile ed efficace per la guarigione”, sostiene Clark. “Per natura, l’ambiente domestico contribuisce a favorire un percorso di guarigione solido e basato sull’amore, nonostante la mancata consapevolezza del paziente. La tentazione di usare la logica e la razionalità per far capire al nostro caro la necessità del trattamento è comprensibile, ma dobbiamo ricordare che gli effetti della malnutrizione e l’anosognosia fanno sì che la persona non riesca a comprendere la situazione in un primo momento”.
Aiutare un proprio caro a comprendere che ha bisogno di cure può richiedere molto tempo, ma Clark ritiene che sia importante continuare a concentrarsi sugli aspetti del percorso che si possono controllare. “Nella fase di recupero del peso, possiamo osservare una resistenza continua e una mancanza di consapevolezza per diversi mesi”, afferma l’esperta. “Sperare che la persona capisca e sia ricettiva al trattamento potrebbe non essere realistico. Piuttosto, è più utile concentrare le energie sull’essere amorevoli, empatici e di supporto, dicendo la verità e rimanendo fermi in ciò che le si chiede di fare”.
Inoltre, occorre ricordare che ogni individuo e ogni famiglia sono unici e possono essere necessari alcuni tentativi ed errori per individuare la strategia con cui comunicare con una persona cara che ha bisogno di aiuto. “Per alcuni, può essere utile focalizzarsi su come sarebbe la sua vita senza il Disturbo Alimentare”, spiega Hargrave-Klein. “Ciò può includere la possibilità di praticare uno sport, di uscire con gli amici o di andare in vacanza con la famiglia. In altri casi, può essere utile che i familiari rassicurino la persona sul fatto che non affronterà il trattamento da sola; la famiglia la supporterà durante tutto il percorso. È importante ricordare anche che non occorre il consenso totale da parte del paziente per intraprendere un trattamento fondato sulla famiglia. I familiari possono scegliere la guarigione per la persona fino a quando quest’ultima non sarà abbastanza forte da sceglierla per se stessa”.
Traduzione dell’articolo My Loved One Has an Eating Disorder but Refuses Treatment. What Should I Do?, scritto da Michelle Konstantinovsky e pubblicato sul blog di Equip