Nell’ambito dei Disturbi Alimentari sono sempre più frequenti, in particolare negli ultimi anni, le comorbilità psichiatriche o le doppie diagnosi. L’aumento della comorbilità ci porta ad interrogarci sia su come la malattia stia cambiando in base al contesto socio-culturale segnato da un profondo disagio contemporaneo ma anche su come il trattamento debba lavorare sempre in ottica più integrata.
Affrontiamo il tema dei Disturbi Alimentari e delle comorbilità psichiatriche insieme alla Dott.ssa Rossana Mangiapane, Medico neurologo, psichiatria e psicoterapeuta.
1. Cosa si intende per comorbilità psichiatrica?
Il concetto di comorbilità, in generale, si sviluppa nell’ambito della Medicina Interna e viene definito come “ogni distinta entità clinica aggiuntiva, che c’è stata o che può comparire durante il decorso clinico di un paziente che ha la malattia indice sotto osservazione”, ovvero consiste nell’associazione nello stesso individuo di più disturbi (entità cliniche distinte), nel medesimo periodo o in momenti diversi della vita. In Psichiatria l’applicazione di questo concetto è piuttosto complessa, sia dal punto di vista teorico che clinico, ma in linea di massima con il termine comorbilità psichiatrica si fa riferimento a quelle situazioni in cui due “entità cliniche distinte “ psichiatriche sono presenti nello stesso individuo( ad esempio un soggetto con un Disturbo dell’Umore e un Disturbo di Personalità). L’individuazione di questa possibilità richiede , a volte anche nel tempo, una valutazione psichiatrica accurata che tenga conto di diversi elementi anamnestici e clinici relativi al soggetto ,alla sua storia personale e familiare, per non incorrere nel rischio di formulare più diagnosi psichiatriche allo stesso soggetto e perdere il senso del lavoro clinico.
2. Nell’ambito dei Disturbi Alimentari, sono sempre più frequenti le comorbilità psichiatriche?
Una grande quantità di studi scientifici da molti anni tratta il il rapporto tra Disturbi dell’Alimentazione e altri disturbi psichiatrici , a conferma della complessità relativa alla interpretazione di queste associazioni e alla problematicità nella diagnosi di comorbilità psichiatrica. È importante differenziare la sintomatologia che può essere una conseguenza o un correlato del DCA dalla sintomatologia che attiene ad un disturbo coesistente. Il Disturbo Alimentare soprattutto al suo esordio può essere il campanello d’allarme , la spia di una psicopatologia piu’ complessa; i dati sulla salute mentale ci dicono che i disturbi psichiatrici sono in progressivo aumento, con un incremento di oltre il 25% dopo la pandemia. Negli ultimi anni, abbiamo assistito ad un aumento di casi con caratteristiche di particolare gravità psichiatrica nella fascia pre-adolescenziale e adolescenziale; spesso in queste situazioni il disturbo alimentare precede o slatentizza un disturbo depressivo o un disturbo d’ansia rilevante. Pertanto nonostante le difficoltà metodologiche e cliniche , riconoscere la presenza di altri disturbi psichiatrici in un soggetto con Disturbo Alimentare è importante per l’impostazione del piano di trattamento e la valutazione del rischio clinico e dell’outcome.
3. Quali sono le principali comorbilità psichiatriche nell’ambito dei DCA?
Mi limito a fare una semplice carrellata perché per ciascun disturbo sarebbe necessario approfondire caratteristiche e tipologia. Tuttavia i più frequenti disturbi coesistenti sono i Disturbi D’ansia, Il Disturbo ossessivo -compulsivo, i Disturbi dell’Umore, il Disturbo da Uso di sostanze e i Disturbi di Personalità. Esiste una correlazione significativa tra alcuni Disturbi Alimentari e i Disturbi dello Spettro Autistico senza tralasciare forme cliniche connotate da rilevante disregolazione emotiva coesistenti con un grave Disturbo da Stress post traumatico. In generale la coesistenza di più disturbi tende a rendere più complesso e grave il quadro clinico e richiede protocolli di intervento adeguati.
4. Cosa significa avere una comorbilità psichiatrica?
La diagnosi di comorbilità psichiatrica è un processo clinico che, come già specificato, richiede una valutazione psichiatrica, psicologica, psicodiagnostica e osservazionale spesso nel tempo, soprattutto per i soggetti più giovani o quelli in cui il Disturbo Alimentare è il primo disturbo a comparire. A volte già l’anamnesi consente di rilevare elementi clinici pregressi di altra sintomatologia passata misconosciuta. A volte l’altro disturbo si può rilevare in fase di remissione dei sintomi alimentari disfunzionali, che magari fino a quel momento hanno consentito alla persona di trovare una strategia per gestire un malessere non definito. Quindi direi che l’ideale è sempre non focalizzare troppo l’attenzione sulle “etichette diagnostiche “, sarà compito dell’equipe di cura di lavorare con la persona e la sua famiglia rispetto al significato e al senso della sua sofferenza, allo scopo di individuare tempi e interventi terapeutici adeguati e specifici per il soggetto.