Che rapporto c’è tra disturbi alimentari e diet culture? La cultura nella quale viviamo influenza il percorso di guarigione?
Il campo dei disturbi alimentari ha dibattuto a lungo sulla definizione di “recovery”. Un tempo si credeva che non fosse mai possibile guarire completamente da un disturbo alimentare: sebbene i comportamenti potessero diminuire o persino scomparire completamente, si pensava che chi ne fosse affetto dovesse sempre convivere con il “mostro” nella testa. Eravamo destinati a combattere una battaglia senza fine per tenere a bada la malattia.
In realtà guarire da un Disturbo Alimentare è possibile, se le persone hanno la possibilità di essere curati e di essere seguiti.
La relazione tra diet culture e disturbi alimentari
La dieta, intesa come regime alimentare restrittivo, è uno dei primi fattori di rischio per l’insorgenza di un Disturbo Alimentare. Vivere in una cultura, definita cultura della dieta, dove molti comportamenti tipici di un disturbo alimentare sono normalizzati è complesso. Non saltare mai un allenamento, eliminare interi gruppi alimentari, il digiuno intermittente e le diete a bassissimo contenuto calorico sono totalmente normalizzati e persino prescritti (inclusi i molto discussi farmaci GLP-1). Continuiamo a ricevere il messaggio che solo certi corpi hanno valore e che dovremmo tutti sforzarci di ottenere quei corpi – più magri.
Avere un corpo diverso è davvero difficile in una cultura che idealizza la magrezza e disprezza la grassezza. Quando si esprime preoccupazione per l’aumento di peso durante il trattamento, i medici e i membri della famiglia spesso assicuro che “non mi avrebbero mai lasciato ingrassare”. Il messaggio era chiaro: aumenta di peso ma non troppo.Tuttavia, durante il recovery è importante sottolineare che l’aumento di peso non solo è normale, ma fondamentale per mantenere la guarigione.
L’impatto della diet culture e della fatfobia
La diet culture – questa idealizzazione della magrezza e tutto ciò che serve per ottenerla – e la fatfobia – stigma, pregiudizio e discriminazione contro le persone in corpi grassi – sono rampanti nella nostra cultura, rendendo difficile il recovery da un disturbo alimentare.
L’idealizzazione sociale della magrezza ha influenzato significativamente il modo in cui molte persone ricevono una diagnosi di un disturbo alimentare, specialmente quelle in corpi non conformi, poiché i comportamenti disordinati sono stati sia normalizzati che incoraggiati. Non è una sorpresa che il 40-60% delle ragazze delle scuole elementari abbia paura di diventare grassa e che i ricoveri ospedalieri per disturbi alimentari siano aumentati vertiginosamente.
Verso una cultura di guarigione e di consapevolezza
Ha senso che le persone si identifichino con un recovery “forte” e “attivo” perché, per proteggerlo, devono costantemente resistere a una cultura che potrebbe favorire – o persino incoraggiare – comportamenti dannosi. Ma se possiamo iniziare a sfidare e disinvestire dalla cultura della dieta, possiamo costruire una cultura fondata sulla guarigione, sulla consapevolezza e sulla diversità (dei corpi).
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